Valle Dolmo
(provincia di Palermo)
 
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In origine il paese fu fondato con il nome di "castel normanno" nel XVII secolo da Antonio Putelli, poi venne sostituito con quello di "Valle D'olmo" per un grande olmo che si trovava vicino alla chiesa delle anime sante costruita nel 1645 dal barone Antonio Cicala. Per opera del barone che ottenne nel 1650 la "licentia populandi" oltre alla chiesa vennero costruiti alcune case, un forno pubblico ed un mulino. Altre opere sono la cappella e la chiesa della Madonna del buon pensiero che risale al XVI secolo ed è un prolungamento dell'antica fattoria feudale, mentre la chiesa madre fu costruita dal 1743 in poi per accogliere un numero di fedeli sempre più grande.

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Ricerca relativa allo stemma recante un castello normanno ed un olmo nel comune di Valledolmo effettuata dal Prof. Paolo Di Gioia, motivazioni: si potrebbe facilmente, e senza andar troppo per il sottile, compilare attingendo all'amico e al Di Marzo (vedi pag.1 e 2 degli estratti che ti accludo). Ma debbo sinceramente confessarti che il Di Marzo, il quale fu pure uno studioso ed un critico di vaglia, non mi ha troppo convinto per le notizie che riguardano Valledolmo, come, del resto, poco mi ha convinto il Tirrito (vedi.pag16 degli estratti), il quale lo cita senza tuttavia apertamente contraddirlo e senza, d'altro canto, mettere in evidenza il grave errore in cui il Di Marzo incorse attribuendo ad Antonio Cutelli la fondazione del paese,mentre, come dal diploma che il tirrito stesso riporta in nota (vedi pag.14 degli estratti), il vero fondatore fu il padre di Antonio Mario, e cioè Giuseppe Mario Cutelli figlio del giureconsulto catanese e di Cristina Cicala (vedi pg.10 estratti). Il Tirrito, che nei riguardi di valledolmo è in verità, tra gli storici che se ne sono occupati, il più completo ed il più accurato, incorre,anche lui, in qualche inesattezza, come dirò in seguito, e come ho rilevato in qualche nota che ho segnato con lettere latine a piè di pagina degli estratti; anzi afferma qualche cosa che, a modesto parer mio, è nient'altro che frutto di immaginazione o di errato ragionamento. Ritornando al Di Marzo,debbo dirti che,se da un canto è scusabile dell'errore di avere attribuito la fondazione ad Antonio Mario ,in quanto riprodusse nient'altro che l'amico(vedi pag.1 estratti),non è scusabile quando scrive che Valledolmo si chiamò in origine Castel Normanno "per un castello normanno che ivi esso sorgea".Che egli sia un po' in mala fede ,un po' in errore,si rileva subito dal fatto che nono cita nessuna fonte;né d'altro canto c'è in ciò che egli srive alcuna traccia dalla quale si possa rivelare che avesse attinto ad altre fonti oltre che al dizionario dell'amico; poiché,se avesse avuto sott'occhio almeno il diploma del 17 agosto 1650(vedi pag.14 estratti),non avrebbe confermato la notizia dell'amico che attribuisce la fondazione ad Antonio Mario. Il Di Mario dovette presumere l'esistenza d'un castello normanno dalla denominazione stessa "Castel Normanno" trovata nel dizionario dell'Amico medesimo. Infatti il Tirrito, che, se non proprio l'originale, ebbe sott'occhio una copia del diploma, e non trovò alcuna fonte attendibile che confermasse l'esistenza di un castello normanno, attribuisce da un canto la fondazione del paese al vero fondatore -cioè a Giuseppe Mario-e d'altro canto(vedi pag.15 estratti) scrive:" non è facile la soluzione storica della causa per cui il conte Cutelli impose alla nuova terra tal nome, di cui non si ha tradizione per fare almeno allusione all'origine normanna". Ma qui sorge una questione:fu il conte Giuseppe Mario il quale volle s'imponesse il nome di C.N., o fu volontà del governo viceregio? A prima vista sembrerebbe che il nome C.N. fosse stato imposto dal governo viceregio: il diploma dice"nominari volumus Castrum Northmandi", ma, se si pensa che il vicerè Giovanni d'Austria ed il suo sostituto Melchiore Centelles Borgia (vedi pag.13 estratti) erano due spagnoli,ed,indubbiamente,tutt'altro che eruditi nelle cose nostre e tutt'altro che amanti delle nostre tradizioni,ci si accorge subito che la denominazione C.N. fu voluta dal conte Giuseppe Mario. E sorge ancora una questione:fu la denominazione C.N. voluta dal conte perché essa per l'ex feudo preesisteva alla fondazione del paese? fu voluta perché esisteva ancora ai tempi del conte un qualsiasi catsello medievale o erano visibili le tracce di esso? fu voluta perché ai tempi del conte era ancora viva la tradizione d'un castello esistito in tempi lontani ? o fu dovuta ad altro motivo? Che la denominazione C.N. almeno per l'ex feudo preesistesse alla fondazione del paese,è da escludersi per due ragioni: anzitutto perché non compare in nessun documento anteriore al 1650,come conferma l'Amari (vedi pag.4 estratti),al quale,dato ciò che tratta (vedi pag 3 estratti),sarebbe stata di sommo interesse la notizia di una denominazione C.N.anteriore al 1650;poi,perché le due denominazioni "Valle d'Olmo e C.N"sarebbero entrambe vive nel nostro popolo,come vive sono di fatto le doppie denominazioni "Villalba Micchichè, Valguarnera Caropepe, Villadoro Passarello e cosi via….." Che esistesse ai tempi del conte un castello medioevale o di esso fossero visibili le tracce o fosse almeno viva la tradizione di quel tempo,non lo credo nemmeno,perché in tutti e tre i casi la tradizione avrebbe tramandato qualche cosa sino a noi e sarebbero vive nel nostro popolo laggende che in ogni luogo e in ogni tempo la fantasi popolare crea intorno ai castelli. Né possiamo rifarci a ciò che il Tirrito scrive (vedi pag.7 estratti) per ammettere che dove ora sorge Valledolmo o nelle vicinanze sorgesse almeno un castello arabo (Elkazon) onde concludere che questo presunto castello,o un altro che potesse esser sorto sui suoi ruderi,venisse denominato normanno per la sopravvenuta dominazione.Per prestare cieca fede al Tirrito dovremmo avere la sicurezza che l'olmo di smisurata grandezza fosse proprio "ultimo vestiglio della coltura degli espulsi Musulmani",e che il casale ed il castello Elkazon sorgessero nell'area su cui sorge Valledolmo o nelle vicinanze. Ma soltanto Dio può sapere in quale tempo venne piantato quell'olmo; e, d'altro canto, che il castello di Elkazon sorgesse dove il Tirrito afferma, è tutt'altro che certo. Per l'una e l'altra notizia, egli che è tanto accurato,non cita nessuno; e gli storici moderni, quando non citano, spesso confondono,qualche volta falsano addirittura senza volerlo. Si potrebbe pensare che il Tirrito attingesse al De Gregorio o allo Spata (vedi pag.6 estratti);ma se dal diploma trilingue (vedi pg.6 estratti),o da qualche nota del De Gregorio o dello Spata, il Tirrito avesse potuto rivelare chiaramente che l'ubicazione del castello di Elkazon era proprio nell'area su cui sorge la moderna Valledolmo, o almeno nelle vicinanze, egli che è anche un critico abbastanza fine-come ho potuto rivelare-non scriverebbe poi (vedi pag.15 estratti) che "non è facile la soluzione storica per cui il conte Cutelli impose alla nuova terra il nome C.n:"; imperocchè, premesso che un castello arabo esistesse realmente nell'area suddetta, la denominazione C.N. per due ragioni soltanto potè sorgere: o perché, sostituitasi alla dominazione araba la normanna ed occupato evidentemente il castello dai nuovi dominatori, ad un qualsiasi nome arabo (nel nostro caso sarebbe "Elkazon") si sostituì in una delle epoche successive (sveva,angioina,aragonese) la denominazione generale di "normanno"; o perché il superbo conte,dovendo la denominazione della nuova terra comparire negli atti ufficiali, volle per personale prestigio, che ad un qualsiasi nome arabo, o semplice attributo "saraceno", si sostituisse l'attributo "normanno". Io penso che il tirrito nei riguardi dell'olmo abbia attinto nient'altro che alla tradizione popolare nostra, a mezzo del dott. Mendola a cui si appella per la questione di Pietro Corvo; e nei riguardi del castello abbia proceduto per esclusione ragionando così: Yhal corrisponde ad Alia, Gulfa a Gulfa, Kassàro a Cassàro, Karsa a Garcia, Kasba a Casabedda, Elkazon almeno nel sito-se non foneticamente-deve corrispondere a Valledolmo. Strano, poi, che il tirrito,per quanto riguarda la tipografia del castello di Elkazon, si ricreda (vedi pag.16 estratti) scrivendo:" La sola tradizione storica sinora conservata si riferisce però alla memoria di un casale arabo Elkazar che esisteva nella vallata del monte campanaro, di cui il prof. Amari dubita se potesse alludere al sito di Valledolmo. In tutti quei dintorni intanto non esistono tracce del castello normanno e nemmeno del casale antico. Si noti inoltre che il Tirrito è incerto nella grafia: a volte (vedi pag.16 estratti) scrive "Elkazara" (ma potrebbe trattarsi d'un errore di stampa); quel ch'è più strano ancora, la sua citazione (vol.3,pag.215 vedi pag.18 degli estratti) è falsa, in quanto l'Amari a pag.215 del 3° volume della sua opera non parla né di Elkazon né di Elkazara, e, come può rivelarsi dall'indice tipografico che è in appendice all'opera, non accenna una sola volta né ad Elkazon né ad Elkazar. Ciò che l'Amari a pag.215 del 3° volume della sua stori scrive, potrai trovarlo a pag.3 e 4 degli estratti. Infine noi Valledolmesi non dobbiamo non tener conto di quella costruzione, (Nel 1930,quando quelle osservazioni furono scritte, quel resto della fattoria ex feudale avvistato al lato nord delle case Castellana esisteva ancora: in seguito fu demolito, ed al suo posto sorse il corpo della scala che porta al 2° piano dell'attuale casa Belliotti) ch'è addossata al lato nord del palazzo Castellana chiamata "Mulinu'lu ventu", la quale per certe visibili feritoie potrebbe a prima vista far pensare ad un rudero di castello; ma, anzitutto, quelle pietre sono a parer mio abbastanza recenti, poi non portano nessuna traccia di stile arabo o gotico-normanno (il vano della porta è intatto ed è volvare e miserevole cosa; né dobbiamo dimenticare che proprio sino a quel punto si estendeva l'antica fattoria ex feudale, che, come tutte le fattorie ex feudali di quel buon tempo, aveva un po' l'aria di fortificazione. Non è nemmeno pensabile che il conte abitasse un castello vero e proprio, perché sarebbe stato lavoro immane ed inutile demolirlo per dare luogo al fabbricato che costituì il palazzo Castellena, che, come è risaputo, sorse sull'area della fattoria ex feudale demolita. Da tutto ciò che ho sritto io concludo che da un canto è falsa la notizia del Di Marzo, e che d'altro canto è falsa la notizia del Di Marzo, e che d'altro canto è tutt'altro che dimostrabile l'esistenza in epoca lontana di un qualsiasi castello nell'era su cui sorge Valledolmo o nelle vicinanze. A mio modestissimo modo di vedere la denominazione C.N. o fu dovuta alla barocca mentalità del secentesco conte al quale la denominazione Valledolmo dovette sembrare troppo modesta per il paese nascente ch'era pur la ragione principale del suo orgoglio, e volle pertanto un nome che ricordasse un'epoca gloriosa; o il conte volle la denominazione C.N. perché nelle tradizioni della famiglia Cutelli c'erano accenni, o presunti accenni, che si riconnettevano con la venuta dei ultima, che potrebbe anche chiarirsi con uno studio. Si consulti in proposito l'opera del Villabianca "Sicilia nobile". Che d'altro canto la denominazione di C.N., come afferma il Tirrito, non fosse ritenuta,in seguito, nemmeno negli atti ufficiali, non è vero; perché dal diploma pergamenaceo che conserva Luigi Barone, e che, se non erro, porta la data 1770 circa, risulta chiara la doppia denominazione "Terra Vallis Ulmi seu Castri Northmandi". Tutto ciò, per quanto riguarda la denominazione C.N. e l'esistenza d'un castello che avesse potuto determinarla. Nei riguardi, poi, della denominazione Valledolmo è in verità dovuta al fatto reale: nei pressi della fattoria ex feudale dovette proprio esistere un olmo. Vero è che anche di ciò esiste nessuna documentazione storica vera e propria, e l' unica fonte sarebbe il Tirrito; ma la cosa è indubbiamente vera, perché la tradizione dell'olmo sorgente di fronte alla chiesa delle Anime Sante è viva non soltanto nelle classi colte del nostro paese ma anche nella bocca del nostro popolo: in proposito ho inteso anche raccontare che quell'olmo fu abbattuto per volere d'un certo prete, al quale, mentre celebrava le sacre funzioni nella vicina chiesa delle Anime Sante, facevano nia il chiasso dei monelli ed il cicaleccio delle persone che in estate si raccoglievano all'ombra di quell'albero. Il Tirrito nei riguardi dell'olmo, come ho detto avanti, dovette indubbiamente attingere al dott. Mendola. Per concludere, queste sono le convinzioni che mi sono formato intorno alle sue denominazioni del nostro paese, al castello e all'olmo; onde deduco che è spiegabilissima la riproduzione d'un olmo nel timbro del nostro comune, mentre,per quanto riguarda l'esistenza d'un qualsiasi castello, le fonti che abbiamo (Di Marzo e Tirrito) non sono, a parer mio, attendibili. Amettere su, quindi, una motivazione del simbolo che riproduce il castello non sarei a posto con me stesso.

Prof. Paolo Di Gioia

Si ringrazia per la gentile concessione la Signora Fina Majo Di Gioia.